Il tema è quello della depressione post-partum: quattro storie di madri che uccidono i propri bambini. Argomento delicato, antico e attuale, che parte dal mito di Medea: è l'eterna domanda della madre che dà la vita e la morte, per ragioni che restano oscure e tragiche. Il punto di vista di Elena Arvigo, che cura lo spettacolo Maternity Blues.
Marga, Eloisa, Rina e Vincenza sono anime rotte, chiuse nel proprio mondo di ricordi, intente a ricostruirsi una vita - se mai possibile - dopo il black out del gesto che ha cambiato le loro vite. Quattro storie diverse, che si dipanano nell'ospedale psichiatrico giudiziario, dove le infanticide pagano il loro debito con la giustizia, e forse anche con le loro anime. Una convivenza forzata che da' ancora, per quanto difficile, spazio a sentimenti come l'amicizia e il conforto. Ne parliamo con Elena Arvigo, regista e attrice di Maternity Blues, in scena dal 24 al 29 marzo all'Out Off di Milano.
Qual è l'elemento comune che si cela dietro questi gesti tanto tragici?
Non c'è un elemento comune, in realtà. Quando ti sembra ti aver trovato una cosa, come la depressione o la solitudine, poi un altro caso ti parla e ti porta a pensare un'altra cosa. Più studi la complessità dell'essere umano, più ti rendi conto che le stesse persone in condizioni diverse hanno reazioni diverse. A monte c'è sempre un disagio, una fragilità, un qualcosa di mal curato. Il gesto di togliere la vita al proprio figlio è la stessa cosa per il caso dei suicidi: loro, cosa hanno in comune l'uno con l'altro? E' una cosa misteriosa. Chi ha più motivi magari non lo fa...eppure sono gli insospettabili che si buttano sotto un treno.
Che soluzioni o precauzioni ci sono?
Sicuramente più attenzione in ambito familiare: spesso non si riconosce la depressione post-partum, ed è qui il punto nodale. Gli infanticidi avvengono quasi sempre in famiglie strutturate; una ragazza madre compie raramente un gesto così estremo. La famiglia è meno sicura di quello che ci aspettiamo, e dire " va tutto bene" spesso non è realistico. Anche vedere le cose che non vanno comporta una serie di azioni, che altrettanto spesso non vogliamo compiere.
Assoluzione o condanna per questi gesti?
Nello spettacolo parlo proprio di questo: ne' l'una, ne' l'altra. C'è la sospensione del giudizio. Portiamo avanti la comprensione, non sta a noi giudicare: i mass media ci portano sempre a dovere fare una scelta: ceceni o russi? Colpevoli o innocenti? Non sta a noi. Ma soprattutto, perchè devi giudicare? Guarda la tua vita, non cedere alla tentazione rassicurante di semplificare, anche perchè è davvero impossibile giudicare la complessità.
Sicuramente l'essere nel mondo dell'opinione spicciola non aiuta. Twitter è uno strumento di potere non indifferente.
Verissimo! Tutti dobbiamo dire la nostra, non riusciamo a staccarci dal fatto di cronaca: siamo spinti molto a prendere posizione, a decidere chi sono i cattivi. E' difficile fare una riunione di condominio, figurati a parlare di altro. Invece dovremmo imparare a non dare giudizi, partendo proprio dalle nostre vite: chi di noi non ha vissuto una separazione familiare o affettiva? E improvvisamente, a furia di dire la nostra, tutto ci sfugge di mano e i messaggi che veicoliamo sono di chiusura e non di apertura. Il teatro, in questo senso, ti riporta in una dimensione più equilibrata, di riflessione.
Cosa è cambiato, per una madre, oggi?
Ora le donne sono sicuramente più sole; una volta c'erano mamme, nonne, generalmente una grande, mutua, assistenza. Una madre deve cercare di vivere i momenti difficili, di abbandono, con grande stabilità, per quanto possibile.
Esiste un vero "dopo" per una madre infanticida?
Chi è più giovane può avere un futuro, ha sicuramente più tempo. Più vita hai alle spalle, più invece è complesso. Le possibilità però sono infinite: anche una seconda maternità per le più giovani.
Teatro Out Off
Via Mac Mahon 16, Milano
dal 24 al 29 marzo 2015